LETTERA ANESTI Giugno 2012
Esattamente un secolo fà -a far data dalla prima metà di Maggio 1912- Rodi e poi via via il resto delle isole del Dodecaneso di etnia greca, ma ancora sotto dominio turco, venivano occupate dall’Italia. Nelle intenzioni del Governo italiano dell’epoca il Dodecaneso doveva essere usato come merce di scambio nei confronti dell’Impero Ottomano che, dopo lo sbarco italiano in Libia avvenuto l’anno prima, continuava ad armare la guerriglia locale contro le truppe inviate in Nord Africa dal Governo di Roma ….Interrogato [infatti] da un amico intorno alle voci di annessione delle isole del Dodecaneso all’Italia così si espresse il Primo Ministro italiano di allora Giovanni Giolitti : “Non mancherebbe che questo: avere deputati greci a Monte Citorio” (cfr Luca Pignataro “Il Dodecaneso Italiano 1912-1947” volume I pag 69).
Non sappiamo quanto la signora Merkel conosca la storia dei rapporti italo-greco-turchi del Novecento, ma per i suoi peggiori incubi vorremmo informarla che quella che doveva risolversi in una occupazione di pochi mesi, per barattare il Dodecaneso con la pacificazione in Libia, si trasformò per l’Italia in un protettorato che durò circa trenta anni, dal 1912 al 1943. Se l’intendimento della Cancelliera tedesca era quello di barattare la “dura lezione impartita alla Grecia” con una pronta stabilizzazione dell’area Euro e un rientro ordinato dal deficit annuo dei paesi più esposti sul fronte dell’indebitamento, è bene che la Merkel si predisponga ad una lunga attesa anche perché i problemi del riequilibrio economico dei paesi europei sono ben più complessi del solo deficit statale greco. Agire brutalmente nei confronti della Grecia come si è fatto tra il 2011 e il 2012 è stato per il resto dell’area Euro come agitare violentemente una bottiglia di Coca Cola e aprirne il tappo indossando un vestito di gabardine bianco: si rischia seriamente di dover gettare l’abito nei rifiuti senza nemmeno mandarlo in lavanderia a causa delle macchie. E questa similitudine vale anche per tutti coloro (li definisco “semplicisti o sempliciotti”) che si illudono che qualche altro paese membro dell’Area Euro possa risolvere i propri problemi semplicemente rinunciando alla moneta unica. Si predispongano questi signori, se ciò disgraziatamente avvenisse, ad una inflazione galoppante, ad un drastico taglio dei redditi ben oltre quello patito attualmente e alla disgregazione di ogni stato di diritto. Leggano a questo riguardo quanto scriveva il 31 Maggio scorso la società di rating Fitch delineando possibili scenari di uscita dall’Euro per i vari paesi dell’Eurozona e le catastrofiche conseguenze che queste iniziative potrebbero provocare di riflesso ( cfr “Ratings Under a Eurozone Country Redenomination: Potential Rating Implications to this Scenario and Preliminary Analysis” Special Report http://www.fitchratings.com/creditdesk/reports/report_frame.cfm?rpt_id=680711&cm_mmc=Eloqua-_-Email-_-LM_NEWS%20NA%2fNYC%202012%2fJun%2f05%20Insurance%20Insights-_-0000). La frase a suo tempo pronunciata da Giolitti e quelle odierne tedesche verso la Grecia sono tuttavia rivelatrici di un atteggiamento portato a marginalizzare i paesi geograficamente e politicamente periferici nel contesto europeo. E fin qui si tratta di una scelta: opinabile quanto si vuole ma pur sempre di una scelta. Essa è però rivelatrice di una concezione di Europa isolata dal resto del mondo che ne fà una specie di torre di avorio con, alla guida, una casta incapace di guardare oltre i propri confini, un luogo in cui possono accedere solo i puri ignorando il contesto esterno e le sfide che si stanno delineando oltre le sue frontiere monetarie e politiche. E’ come se la frantumazione, avvenuta a suo tempo con la Guerra dei Trentanni, della Lega Anseatica, cui pure la Germania del tardo Medioevo e dell’inizio dell’Età Moderna aveva dato vita, non abbiano insegnato nulla a quel paese. Qualunque sia l’esito della crisi greca, la Grecia è solo uno dei problemi che l’Europa dovrà affrontare, anche perché le radici della attuale crisi economica risiedono altrove. E vediamo più in dettaglio dove con l’aiuto del FMI.
In queste settimane uno studio del Fondo Monetario Internazionale ha posto l’accento sull’importanza che a causare la crisi sia stato non solo il livello di indebitamento di singoli paesi o di gruppi di paesi ma soprattutto l’abnorme sbilancio del rapporto fra la cosiddetta ultimate liquidity (che in modo molto semplificato potremmo definire come la somma fra aggregato monetario e alcuni titoli trasformabili prontamente in liquidità senza eccessive perdite di valore: quali i titoli di stato tedeschi Bunt e Treasury Bonds americani), e il resto dei collaterali (garanzie) utilizzati dagli intermediari finanziari per dotare il sistema dei mezzi finanziari da riversare sulle imprese e sui consumatori oggetto della loro intermediazione. La crisi in altre parole sarebbe determinata dal fatto che larga parte delle attività e beni che prima costituivano il bacino da cui attingere le garanzie necessarie per ottenere prestiti e la liquidità necessaria ad alimentare il sistema, siano ora scivolate nella categoria delle garanzie non più accettabili e come un bacino idrico che si va prosciugando per evaporazione, non siano più in grado di alimentare i corsi d’acqua a valle (IMF Working Paper No. 12/95April 2012 : “Money and Collateral”: “Between 1980 and before the recent crisis, the ratio of financial market debt to liquid assets rose exponentially in the U.S. and in other financial markets, reflecting in part the greater use of securitized assets to collateralize borrowing. The subsequent crisis has reduced the pool of assets considered acceptable as collateral, resulting in a liquidity shortage. When trying to address this, policy makers will need to consider concepts of liquidity besides the traditional metric of excess bank reserves and do more than merely substitute central bank money for collateral that currently remains highly liquid.“. Vediamo più in dettaglio quanto è successo e ricordiamoci che solo le banche centrali sono in grado di stampare o coniare nuova moneta (fiat money).
Mentre nel 1951 per ogni mille dollari di depositi in cartamoneta e titoli di stato americani il sistema delle banche e degli intermediari era in grado di finanziare quel soggetto (imprese o famiglie), con quattromila $, in un rapporto pertanto di 1 a 4, nel 2006 -poco prima della esplosione della crisi iniziata l’anno seguente- tale rapporto era arrivato a 673. Ciò voleva dire che bastavano mille dollari di depositi per consentire agli intermediari finanziari di concedere prestiti o assumere in proprio rischi (es sui derivati) per 673.000 $: un ammontare mostruoso, una piramide rovesciata di proporzioni epiche fortemente in bilico e che infatti ha poi schiacciato il sistema. Oltre ad attività caratterizzate da buona solvibilità venivano utilizzati (e accettati) con grande spregiudicatezza anche collaterali di dubbia qualità e liquidabilità quali ad esempio incassi di future lotterie, rivendicazioni di liquidazioni di sinistri e simili (cfr “In recent years, the financial system converted a huge stock of claims on future revenues (loans, cell phone fee receivables, etc.) from illiquid claims into notionally highly liquid claims. In the process, this created a demand to securitize other claims, such as legal damage claims, awards, lottery payouts, etc…………..before the crisis, the ratio of total financial intermediaries’ liabilities—the broadest measure of financial sector liabilities available—to ultimate liquidity was rising exponentially. This measure is currently back to a level last seen in the 1970s, before the rapid expansion of the shadows and the securitization boom that started with mortgage backed securities in the early 1980s. Total financial system ultimate liquidity leverage rose from 4 at end 1951 to 673 at end 2006 before falling sharply to 33 at end 2011. By comparison, ultimate liquidity leverage was 36 at end 1981.” Da IMF Working Paper No. 12/95 April 2012 : “Money and Collateral” http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2012/wp1295.pdf pag 9).
Tra il 2006 e il 2011 il rapporto di cui parlavamo è crollato a 33 e ora il sistema è fermo perché a muovere il mercato è solo la componente di ultimate liquidity cresciuta notevolmente per intervento delle banche centrali a sostegno delle banche commerciali (non degli intermediari finanziari). A trovare difficoltà di impiego come collaterali sono ora anche le anticipazioni su fatture già emesse e in generale collaterali che in condizioni normali sarebbero stati comunque giudicati di qualità accettabile (cfr “The liquidity leverage of both banks and nonbanks experienced a similar increase and dramatic decrease before and after the crisis. Whereas liquidity deleveraging was accomplished in the banking system through an increase in ultimate liquidity, for nonbanks this was not possible. Consequently, their liquidity deleveraging was effected through an increase in holdings of other collateral and a decline in total liabilities….. Between end 2007 and end 2011, C1[Bunt e Treasury Bonds like] held by nonbanks rose by $1.4 trillion while total liabilities fell by $2.7 trillion….. Among the more prominent declines were in mortgages, which fell by $1 trillion (due to Fed’s buying program), and holdings of commercial paper and bankers’ acceptances, by $0.6 trillion.” da: Da IMF Working Paper No. 12/95 April 2012 : “Money and Collateral” http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2012/wp1295.pdf pag 10).
Recentemente in occasione della mostra sul mobile a Milano è stata effettuata, da parte di una associazione di consumatori, una indagine tesa ad accertare presso primarie banche italiane quale fosse il tasso effettivo annuo che va a gravare su un piccolissimo prestito da utilizzare per il rinnovo di alcuni arredi di cucina: fra tasso base, spese di istruttoria e assicurazione sul rischio credito che le banche non assumono più in proprio (sic !!!) è risultato che il costo in termini di tasso effettivo su un prestito a 5 anni di 15.000 € è attualmente del 14 % annuo e quello su un prestito di 5.000 € è addirittura del 16 % annuo !!!!!!!! Nessuna sorpresa se tempo fà qualcuno osservava che in Italia i ristoranti sono sempre pieni. Come è facile concludere dallo studio del Fondo Monetario e dalla situazione generale del credito, la crisi greca c’entra solo in piccolissima parte con l’analisi appena proposta. Essa è al più una concausa della crisi del credito e della economia più generale, non il motivo principe che ha generato la crisi. Analoga considerazione vale per i mutui subprime che sono responsabili solo in piccolissima parte della situazione attuale.
E mentre siamo qui ad assistere ad oziosi dibattiti se si debba o meno uscire dall’Euro, all’orizzonte mondiale si addensano nubi sul quadro strategico di cui nessuno qui in Europa e in Italia in particolare, sembra curarsi e dar conto alla opinione pubblica. Nel 2012 i paesi asiatici spenderanno nel settore della difesa militare per la prima volta nella storia più dell’Europa; il 30% di tali spese sarà ad opera della Cina (già nel 2011 l’Asia era quasi alla pari con l’Europa avendo speso, secondo lo IISS, 262 miliardi di $ contro 270 miliardi $ dell’Europa cfr “Asia set to spend more on defence than Europe”, Financial Times 8 Marzo 2012). Gli Stati Uniti sposteranno di conseguenza entro il 2020 il 60% della loro flotta mondiale nella regione Asia-Pacifico dove si assiste già ad un crescendo di tensioni militari che stanno comportando fra gli altri confronti isolati fra Usa e Cina nelle Filippine e nel resto del Sud Est asiatico, mentre attriti si stanno producendo anche nelle aree continentali ai confini fra Cina e Kazakistan come riferisce in ambedue i casi Intelligence Brief (Cannistraro Associates) June 4 2012, e cresce la tensione anche fra Cina e Russia (“US Defense Secretary Leon Panetta says the United States will shift the bulk of its warships to the Asia-Pacific region in the coming years as part of a new military rebalancing to guarantee a strong and continued U.S. presence in the region. Defense Secretary Leon Panetta said Saturday the United States will move 60 percent of its naval fleet to the Asia-Pacific by 2020. Currently, its fleet of 285 cruisers, destroyers, littoral combat ships and submarines is evenly divided between the Atlantic and Pacific theaters. Panetta laid out the plan in a speech Saturday to regional allies at the 11th International Institute of Strategic Studies (IISS) Asia Security Summit”….” The mystery deaths of 14 Kazakh border guards and a huntsman in a fire at a mountainous border post near China appears to have been an “act of terror”, based on “internal conflicts,” President Nursultan Nazarbayev said on Friday…. He gave no further indication over who he thought was behind the act or what “internal conflicts” he was referring to. It is also not clear what the huntsman was doing at the border post”).
Caldissimo è inoltre il fronte delle guerre informatiche con attacchi cibernetici in grado di paralizzare apparati militari e civili su ampia scala come riferisce la agenzia di stampa Reuters a proposito del tentativo di dialogo Usa / Cina in corso al riguardo: cfr REUTERS May 08, 2012 “ The United States and China both have advanced cyber warfare capabilities and must work to avoid miscalculations that could lead to conflict, Defense Secretary Leon Panetta said on May 7 as he hosted the first visit by a Chinese Defense Minister, Liang Guanglie. “The United States and China are powers in the Pacific and our goal is to establish a constructive relationship for the future,” Panetta said. “It is essential for our two nations to communicate effectively on a range of very challenging issues.” …The two sides also agreed to hold a combined counter-piracy exercise in the Gulf of Aden later this year. At the news conference, China rejected suggestions that cyber attacks aimed at the United States were coming directly from China. Panetta agreed not all cyber attacks on the United States could be attributed to China and that the two sides discussed ways to cooperate on cyber security.”
Eutimio Tiliacos
LETTERA ANESTI Maggio 2012
Lord Palmerston, che fu a più riprese nell’Ottocento Ministro degli Esteri inglese e Premier dal 1855, era detestato dalla Regina Vittoria, forse perché scoperto mentre aveva cercato di dare l’assalto ad una dama di compagnia della regina intrufolandosi furtivamente nella camera da letto della fanciulla mentre una sera egli era ospite dei regnanti nel castello di Windsor ( “Queen Victoria objected to Palmerston’s sexual behaviour. On one occasion he had attempted to seduce one of Victoria’s ladies in waiting. Palmerston entered Lady Dacre’s bedroom while staying as Victoria’s guest at Windsor Castle. Only Lord Melbourne’s intervention saved Palmerston from being removed from office”) . Fautore di una politica estera molto spregiudicata, finalizzata a rendere il potere dell’Inghilterra sempre più esteso a qualunque costo, spesso si era trovato a sostenere più o meno clandestinamente gruppi e correnti politiche estere che nei rispettivi paesi agivano in chiave filo-repubblicana destabilizzante contro le monarchie là al potere, al punto che la Regina Vittoria, che con molte di quelle case regnanti europee era imparentata, così scrisse nel suo diario a proposito di Palmerston “We had, God knows! terrible trouble with him about Foreign Affairs. Still, as Prime Minister he managed affairs at home well, and behaved to me well. But I never liked him” (Ci ha fatto passare, lo sa Iddio, momenti terribili sulle questioni di politica estera. Nondimeno come Primo Ministro sulle questioni interne ha operato bene e si è comportato bene con me. Ma a me non è mai piaciuto) .
Un paese su cui però le opinioni di Palmerston e della Regina Vittoria convergevano, nonostante la consanguineità fra Queen Vittoria e la famiglia degli zar, era la Russia e le preoccupazioni che generava a Londra la politica asiatica di Pietroburgo. Nel 1836 apparve in Inghilterra un libro scritto da John McNeill (ma pubblicato anonimo su richiesta dello stesso Lord Palmerston) dal titolo The progress and present position of Russia in the East, in cui si illustrava l’ampiezza dell’espansione zarista nel secolo e mezzo precedente, nel corso del quale le frontiere russe erano progredite di ottocento kilometri a Sud verso Costantinopoli e di milleseicento ad Est verso Teheran. Nei decenni successivi a quella pubblicazione la Russia avrebbe esteso il suo dominio territoriale o comunque avrebbe ricompreso nella sua sfera di influenza, la regione costiera del Pacifico settentrionale, i kanati asiatici, il Nord della Persia e il resto del Caucaso che si rivelerà poi essere una delle maggiori regioni petrolifere mondiali, facendo recentemente scrivere a Sergio Romano che “…il grande impero zarista scivolava verso i mari caldi inghiottendo ogni giorno mediamente 150 kilometri quadrati”. L’autore del libro apparso nel 1836, John McNeill, era in realtà uno dei protagonisti del cosiddetto “Grande Gioco” la guerra di spie, di diplomazie e di eserciti che vide impegnati per circa un secolo, ossia dalla sconfitta delle armate napoleoniche fin quasi alla caduta del regime zarista, inglesi e russi in un confronto per il controllo dell’Asia Centrale e delle frontiere con l’India. Nel 1907 un trattato pose fine alle rivendicazioni reciproche anglo-russe alla luce della minaccia posta da altri paesi che avevano cominciato a protendere le loro mani su una zona del globo che racchiudeva enormi ricchezze naturali (cfr Peter Hopkirk “Il Grande Gioco” ed. Gli Adelphi 2011, titolo originale “The Great Game-On secret service in High Asia”) ma lo scenario attuale, che pure ha visto in parte mutare i suoi attori con la dissoluzione nel Caucaso dell’ex impero sovietico e la nascita di numerosi stati indipendenti, come pure con la vicenda iraniana, quella afgana, quella irakena e quella turco/curda, può essere meglio compreso e interpretato anche facendo riferimento alle vicende storiche di quella vasta, politicamente intricatissima e maledettamente ricca area del globo che è il Caucaso e l’Asia centrale in generale. Se infatti parliamo oggi di aspettative a lungo termine del prezzo del petrolio e finanche di spread finanziari converrà partire di qui per capire cosa stia accadendo e non dimenticare come pesino le vicende storiche e gli esiti delle alleanze diplomatiche sul piano economico. La tesi che vi proponiamo è che la crisi che ha investito l’Italia nel 2010-2011, con il drammatico aumento degli spread sul rifinanziamento del debito pubblico, abbia solo in parte connotati riconducibili alle vicende finanziarie ed economiche internazionali che a far data dal 2007-2008 hanno investito numerosi paesi. Troppo diversi erano e sono i fondamentali dell’economia italiana se confrontati ad esempio con quelli di Spagna Grecia Portogallo e Irlanda, per spiegare un crollo così verticale dell’affidabilità del paese ed un innalzamento così repentino del rischio che in certi momenti ha portato gli spread italiani ad essere addirittura superiori a quelli spagnoli.
Sul giudizio che i mercati hanno dato dell’economia italiana ha pesato sicuramente la credibilità del suo mondo politico e l’entità del debito pubblico italiano, ma hanno pesato anche a nostro avviso tre vicende, in almeno due casi riconducibili al petrolio. La prima è stata la perdita subìta (per esclusiva colpa tecnica) dall’ENI di buona parte dei diritti di estrazione nel Caucaso e in particolare in Kazakistan. La seconda il rovesciamento del regime filo-italiano di Tunisi e la terza la guerra civile in Libia che pur lasciando all’apparenza all’ENI una presenza continuativa nella coltivazione di alcuni campi petroliferi ha però precluso in prospettiva al sistema economico italiano nel suo complesso la possibilità di esercitare una influenza economica egemone come in passato su quel paese (30% dell’interscambio libico era con l’Italia). E questi avvenimenti per chi come l’Italia vede ogni anno il proprio deficit commerciale della bilancia dei pagamenti con l’estero “divorare” il 3% del Prodotto Interno Lordo, sono una bella jattura. Nel numero di Febbraio 2011 di Lettera ANESTI (www.anesti.it > Lettera ANESTI) così scrivevamo a proposito delle vicende italiane nel Caucaso e del colossale giacimento di Kashagan di cui ENI era originariamente operatore (ossia preposto alle operazioni tecniche di sfruttamento del giacimento in cambio di una posizione leader e di maggioranza nell’appropriazione del greggio estratto): “….nel Mar Caspio: in Kazakistan. Anche qui a fronte di sfide tecnologiche importanti si è sottovalutata l’entità dei problemi, la cui soluzione è stata delegata spesso ad enti esterni, non in grado di assolvere compiutamente al loro compito, come se le vicende fisico-geologiche-metereologiche caratteristiche dell’area in cui era presente quel particolare importante giacimento (3 miliardi di barili di riserve stimate) fossero cosa diversa dal corpo e dalla responsabilità delle compagnie madri che avevano figliato il Consorzio di sfruttamento. I brani che riportiamo qui di seguito narrano a ritroso nel tempo del (presunto, sino a prova contraria) succedersi di errori per eccesso di “alterità” che hanno causato un notevole ritardo temporale nella messa in produzione del giacimento e hanno creato danni all’ecosistema del Mar Caspio stimati originariamente in 40 miliardi di dollari (cfr “Legal battles continue between Kazakhstan and major oil companies” By Georgiy Voloshin 02/02/2011 issue of the CACI Analyst http://www.cacianalyst.org/?q=node/5491 : “Another legal battle has been gradually unfolding for a number of years around the most ambitious Kashagan project, which was entrusted to an ENI-led consortium. Interestingly, the production sharing agreement was signed back in 1997, when the Kazakh President was visiting Washington, but the idea was subsequently put on the backburner due to a lack of funds and a need for heavy investments. Kazakhstan expected to see the production starting in 2007. At that time, the first major crisis in Kazakhstan’s relationship with ENI erupted, when the company was unable to stick to its obligations by declaring that the start of drilling operations had to be postponed until 2013 (the initial deadline was due three years earlier). Moreover, the projected cost went up at a surprisingly rapid pace, from US$ 57 billion to US$ 136 billion. The Kazakh Government was even contemplating the possibility of stripping the Agip KCO (a joint venture set up by ENI) of its operator’s status. However, the new production sharing agreement concluded in January 2008 extended the deadline in accordance with the consortium’s wishes, in exchange for an increase in the share of Kazakhstan’s national oil company, KazMunaiGaz. The latter more than doubled its participation in both investment and distribution of profits, bringing it up from 8 percent to 16.81 percent”………La situazione descritta era stata preceduta nel 2008 da un accordo compensativo dei ritardi che passava, come accennato nell’articolo del CACI sopra riportato, per il raddoppio della quota di proprietà della compagnia petrolifera kazaka nel giacimento di Kashagan a danno delle compagnie occidentali coinvolte nel progetto e in una forte penale a carico di queste ultime, stimata fra 2,5 e 4,5 miliardi di dollari, per il ritardo maturato nella messa in coltivazione del giacimento stesso (dal 2010 al 2013) (cfr http://www.cacianalyst.org/?q=node/4783 …”23 January 2008 News Digest By Alima Bissenova (01/25/2008 issue of the CACI Analyst) Kazakhstan,AGIP reach agreement on Kashagan “Kazakhstan’s KazMunaiGaz reached agreement late on January 13 with the Italian-led Agip international consortium formed to exploit the vast Kashagan oil field. Under that agreement, the various Western consortium members will cede some of their shares in the consortium to double KazMunaiGaz’s stake to 16.81 percent. They will also pay between $2.5 billion-$4.5 billion in compensation for the delay in the start of operations, initially scheduled for 2008, until late 2010”……Inoltre, come già accennato, la penale per ritardi non esauriva il contenzioso con il governo e le autorità kazake che riguardava –come spiega un’altra corrispondenza CACI, questa del 2007- anche i danni causati all’ambiente da fuoruscite accidentali di gas ad alta pressione e alto contenuto di idrogeno solforato dal giacimento, che avrebbero (secondo fonti della capitale kazaka Astana) trasformato parte del Mar Caspio in una specie di vasca di acido muriatico…“Astana struggles to regain grip on oil sector” By Farkhad Sharip (09/20/2007 issue of the CACI Analyst) http://www.cacianalyst.org/?q=node/4699 “The Italian company was repeatedly inspected by authorities on suspicion of tax evasion. Kazakh finance minister Daulet Yergozhin announced that the final results of inspections will be made public in October, but the estimated environmental damage caused by ENI in Kazakhstan stands at $40 billion. Apparently, the already chilly relations between Kazakh authorities and the Italian company were further aggravated after ENI responded negatively to Kazakh demands to increase the planned output of profit-oil from 10% to 40%. The cause of production delays at Kashagan cannot be explained by harsh climatic conditions or technical problems alone. It seems that Agip was taken hostage by its own ambitious plans to increase oil production from the initially projected 100,000 barrels a day the end of 2005 to 450,000 barrels a day. This revised plan proved to be beyond the capacities of the company, and accelerated the collision with the government”.
Nonostante l’aspettativa (ottimistica) di una flessione dei prezzi del petrolio nell’immediato futuro le prospettive di crescita economica di ciascun paese saranno sempre più influenzate negli anni a venire dalla disponibilità delle fonti energetiche e dall’ammontare di risorse necessarie per sostituire i giacimenti che vanno verso l’esaurimento. La corsa al petrolio continua con più vigore di prima e con conflitti al momento sotterranei anche fra alleati o fra paesi facenti parte della Unione Europea come insegnano il caso libico e quello nigeriano. Uno studio del 2009 dello UK Energy Research Centre che ne riecheggiava uno analogo precedente della International Energy Agency, suonava l’allarme sulla sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi in ragione dell’esaurimento delle riserve provate che è cosa diversa dai picchi di produzione ancora possibili attualmente per soddisfare nel contingente momenti di forte domanda del mercato (“Global Oil Depletion An assessment of the evidence for a near-term peak in global oil production”: Despite much popular attention, the growing debate on ‘peak oil’ has had relatively little influence on energy and climate policy. Most governments exhibit little concern about oil depletion, several oil companies have been publicly dismissive and the majority of energy analysts remain sceptical. But beginning in 2003, a combination of strong demand growth, rising prices, declining production in key regions and ominous warnings from market analysts has increased concerns about oil security. While the global economic recession has brought oil prices down from their record high of July 2008, the International Energy Agency (IEA) is warning of a near-term ‘supply crunch’ owing to the cancellation and delay of many upstream investment projects. There is a growing consensus that the age of cheap oil is coming to an end…..While the timing of a future peak (or plateau) in conventional oil production has been a focus of debate, what appears equally important is the rate at which production may be expected to decline following the peak and hence the rate at which demand reduction and alternative sources of supply may be required. In addition, there are uncertainties over the extent to which the market may be relied upon to signal oil depletion in a sufficiently timely fashion http://ukerc.rl.ac.uk/UCAT/cgi-bin/ucat_query.pl http://www.ukerc.ac.uk/support/Global%20Oil%20Depletion
Uno studio pubblicato proprio in questi giorni dal Fondo Monetario riprende e conferma questo scenario ipotizzando un raddoppio dei prezzi del petrolio nel corso del prossimo decennio. Ma ciò che colpisce di più dello studio del Fondo è l’affermazione che il tasso di crescita dello sviluppo tecnologico non sia una variabile indipendente dalla disponibilità di fonti fossili di energia, il che sta a dire: attenti se si contrae l’offerta di idrocarburi è tutto il mondo tecnologico dal quale dipendiamo che subirà una frenata (cfr IMF May 2012 wp 109 “Our empirical results also indicate that, if the model’s predictions continue to be as accurate as they have been over the last decade, the future will not be easy. While our model is not as pessimistic as the pure geological view, which typically holds that binding resource constraints will lead world oil production onto an inexorable downward trend in the very near future, our prediction of small further increases in world oil production comes at the expense of a near doubling, permanently, of real oil prices over the coming decade. This is uncharted territory for the world economy, which has never experienced such prices for more than a few months. Our current model of the effect of such prices on GDP is based on historical data, and indicates perceptible but small and transitory output effects. But we suspect that there must be a pain barrier, a level of oil prices above which the effects on GDP becomes nonlinear, convex. We also suspect that the assumption that technology is independent of the availability of fossil fuels may be inappropriate, so that a lack of availability of oil may have aspects of a negative technology shock. In that case the macroeconomic effects of binding resource constraints could be much larger, more persistent, and they would extend well beyond oil sector http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2012/wp12109.pdf. Dovremmo riflettere su questo ultimo punto e lo faremo nei prossimi numeri di Lettera ANESTI.
Eutimio Tiliacos