Sabato 9 giugno, alle ore 18, a Palazzo Cuttica il sindaco, Maria Rita Rossa, inaugurerà la mostra “Chapeau”- intrecci di arte, parole e suoni tra storia e contemporaneo.
L’esposizione rinnova l’abitudine, ormai consolidata, di far dialogare gli spazi secolari delle stanze di Palazzo Cuttica con l’arte contemporanea, dopo le fortunate esperienze degli scorsi anni.
In questa nuova edizione gli artisti hanno scelto di evocare i suoni percepiti all’interno delle sale del Palazzo e trasformarli in opere visive, in un dialogo con gli spazi che talora è sottile e sommesso, talora chiassoso; le opere si inseriscono sul preesistente allestimento, lo contaminano e ne sono contaminate, in uno scambio artistico che crea nuovi stimoli di confronto e discussione.
La mostra è curata dall’associazione culturale ‘L’Uovo di struzzo’ in collaborazione con il Comune di Alessandria e con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, sarà aperta tutti i sabati dal 9 giugno al 21 luglio, dalle 16 alle 19.
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Chapeau, intrecci di arte, parole e suoni tra storia e contemporaneo
L’arte intreccia sempre con gli spazi in cui è collocata un dialogo a più livelli, talora sottile e sommesso, talora sfacciatamente chiassoso e una parte del fascino che nasce dagli allestimenti di esposizioni trae origine proprio da questa dialettica: spesso per l’arte contemporanea si privilegiano spazi asettici realizzati ad hoc, secondi i diktat in auge fin dall’epoca del Bauhaus e imposti dal Modernismo, ma io trovo più calda e stimolante la sfida di interagire con la storia, collocando il moderno e lo sperimentale negli ambienti vivi di antichi muri, carichi di echi e rimandi. In quest’ottica Palazzo Cuttica risulta un contenitore ideale anche se difficile, per la complessità e varietà della sua storia che spazia dalla dimensione privata di dimora nobiliare a quella pubblica di edificio destinato a diversi usi per la comunità cittadina e, soprattutto, per la complessità e ricchezza delle decorazioni che ornano le sue sale fastose, arricchite ulteriormente dai reperti del Museo Civico che contribuiscono ad alimentare un flusso di stimoli visivi ed evocativi di intrigante complessità. Sempre le dimore storiche sono vive e parlano a chi si addentra tra le loro pareti, ma, in questo caso, il dialogo è talmente fitto e molteplice da richiamare immediatamente il paragone con una musica polifonica, una sorta di sinfonia o di coro a più voci che, unitamente alla presenza nei suoi spazi del Conservatorio, ha suggerito d’impeto un filo conduttore musicale per la presente esposizione dove l’arte contemporanea gioca ad evocare note passate e presenti.
Chapeau quindi a Palazzo Cuttica e agli artisti esposti e che il concerto abbia inizio, partendo da un artista che, prima di tutto, è stato musicista e compositore vero, Giuseppe Chiari, grande sperimentatore di musica contemporanea prima che la collaborazione con esponenti di Fluxus e dell’Arte Concettuale lo portasse a realizzare opere fisiche dove la sintesi tra arte visiva e musica si reifica in collage, anche tridimensionali, come quelli esposti in questa sede, opere che vedono l’aspetto visuale interagire realmente, anche se in maniera concettuale e mentale, con le sonorità degli strumenti e dei fraseggi musicali rappresentati e che, talora, sono leggibili, e suonabili, come veri spartiti sperimentali.
Completamente diverso l’approccio di Arman, anche se alcuni assemblages di strumenti distrutti suggeriscono inequivocabili rimandi, in questo caso prevale l’artista visuale e l’utilizzo di strumenti e di simboli musicali rappresenta solo uno delle tante forme che può assumere l’accumulo di oggetti d’uso tipici del suo particolare approccio al Noveaux Realisme, eppure un’insolita musicalità, occulta e reale, pervade l’opera presentata, dove la grafia nervosa e gotica e la scansione ritmica rimandano a spartiti medioevali indefinibili, sospesi tra il sacro e il profano, tra saltarelli e canti gregoriani.
Gli strumenti musicali campeggiano anche nelle opere di Antonella Mazzoni della serie “Gli strumenti della Vita”, resi con stile decisamente realistico e figurativo da un uso sapiente dell’areografo, ma in realtà concettualizzati dal titolo della serie che, in sinergia coi singoli titoli, provoca un cortocircuito mentale, leggibile su diversi livelli, tutti però, in fondo, incentrati sulle dialettiche e le difficoltà dell’arte, della vita e dell’arte di vivere.
Dai suoni alle parole il passo è breve e il confine tra musica e poesia è intangibile, la musica del vento porta i versi scompigliati del Sommo Vate a comporre l’installazione di Margherita Levo Rosenberg “Se Dante il Vento ed io”, dove il fraseggio poetico, scomposto e ricomposto dal pretesto di un fortuito ritrovamento in una soffitta (stratagemma senza tempo dell’arte che coinvolge simbolicamente memorie soggettive e oggettive) si fonde con la parola sacra e creatrice nel gioco linguistico del titolo fino a ricreare una Commedia Divina contemporanea, poeticamente ironica.
La musicalità della parola sacra pervade anche l’opera di Clara Brasca, un’annunciazione, forse il tema pittorico più emblematico della valenza esoterica e fecondante della Parola, anzi del Verbo che è Salvatore e Salvato insieme, in un cortocircuito simbolico vicinissimo alle suggestioni gnostiche, nonostante l’apparente ortodossia, un tema non a caso amatissimo dai pittori del “Rinascimento Magico” e reinterpretato dall’artista con una tecnica antica, minuziosa e precisa, che lo concettualizza inquadrandolo in uno schema cartesiano alla De Stijl, unendo e separando le figure in una danza di linee oblique quasi a simboleggiare l’ambiguità tra la ritrosia e l’accettazione di un destino incommensurabile.
La musicalità delle acque, sacralizzata dal mito, dalla fabula, dal racconto e dal rito apotropaico, emerge poi con forza nella “Scandulai” di Gianni Caruso, personalissima interpretazione di una delle “Maschere di Ubaga”, singolari sopravvivenze di antichissime ritualità di una piccola comunità montana, oggi reinterpretate da numerosi artisti contemporanei: Scandulai è l’acqua, rigeneratrice, vivificante, purificatrice, porta con sé i suoni cristallini delle fonti sacre, delle sorgenti che sanano ed è forte di tutta la potenza generatrice femminile, Gianni Caruso la vede classicamente bella, coronata di licheni, velata e lontana come un’anima/sposa a cui ricongiungersi e, sulla sua musica, modula una poesia.
Anche Giulia Caira, artista che gioca con la sua immagine e con i ruoli, nel video “Beauty is a simple passion ” si approccia alla fiaba, al racconto di tradizione, ma reinterpretato e modernizzato attraverso il filtro della raccolta “Trasformation” della poetessa americana Anne Saxton che reinterpreta gli archetipi favolistici alla luce di una critica del sistema patriarcale che li ha prodotti, un approccio “femminista”, oggi caro a molte antropologhe, che ben si adatta al lavoro di un artista che incentra la sua ricerca sul suo corpo e sulla sua percezione, spesso distorta e deformata da filtri quali specchi o involucri, a sottolineare la difficoltà per ogni donna ad avere una percezione sicura e obiettiva del proprio essere e dei propri obiettivi, senza attendere principi inesistenti… e inutili.
Il corpo femminile è ancora il protagonista nei lavori di Giovanna Torresin, che fabbrica ad arte, con mezzi digitali, corazze fisiche per il proprio corpo o per parti di esso, corazze difensive e/o offensive sicuramente emblematiche di una esistenzialità sofferta, dove la blindatura, del cuore, dell’anima, del volto, sembrano avere una valenza non tanto offensiva, quanto di rinforzo, di sostegno per una sensibilità forse eccessiva, corazze per proteggersi nel gioco della vita, a volte per combattere, come una Jean d’Arc contemporanea, ma anche corazze molto belle, musicali nei loro ritmati arabeschi che rimandano a grottesche rinascimentali, ghirigori barocchi, esotiche moresche, altri suoni che cantano in armonia con gli stucchi di queste antiche sale.
Troviamo infine la musica più ludica e giocosa nell’opera “Renaissance en France” di Stefania Gesmundo, surreale oggetto concettuale/pop dove una fotocopiatrice diventa un prato che produce veri fiori fotocopiando un disegno floreale, uno scarto ludico di immediata leggibilità che strappa un sorriso e che sembra un gioioso omaggio alla primavera: un’opera che, nonostante sia dedicata ad Anatole France, sembra rievocare ed omaggiare anche Antonio Vivaldi a cui è dedicato il Conservatorio e la cui musica sembra così adatta ad essere la colonna sonora del primo periodo di brillante vita mondana della storia di Palazzo Cuttica.
Addentriamoci quindi nelle sale, ascoltiamo i suoni e le voci del contemporaneo dialogare con la storia, attenti a percepire ogni minimo sussurro o fruscio che possa aprire la mente ad interagire con la cultura di ogni secolo. Non esiste presente senza passato.
Elisabetta Rota