Analisi elaborata da Eutimio Tiliacos advisor Gabbrielli & Associati, past chairman Italian Linacre Society Oxford University, Socio Onorario Assoconsulenza Associazione Italiana Consulenti di Investimento .www.assoconsulenza.eu
LETTERA ANESTI Maggio 2012
Lord Palmerston, a più riprese nell’Ottocento Ministro degli Esteri inglese e Premier dal 1855, era detestato dalla Regina Vittoria, forse perché scoperto mentre aveva cercato di dare l’assalto ad una dama di compagnia della regina intrufolandosi furtivamente nella camera da letto della fanciulla mentre una sera egli era ospite dei regnanti nel castello di Windsor ( “Queen Victoria objected to Palmerston’s sexual behaviour. On one occasion he had attempted to seduce one of Victoria’s ladies in waiting. Palmerston entered Lady Dacre’s bedroom while staying as Victoria’s guest at Windsor Castle. Only Lord Melbourne’s intervention saved Palmerston from being removed from office”) . Fautore di una politica estera molto spregiudicata, finalizzata a rendere il potere dell’Inghilterra sempre più esteso a qualunque costo, spesso si era trovato a sostenere più o meno clandestinamente gruppi e correnti politiche estere che nei rispettivi paesi agivano in chiave filo-repubblicana destabilizzante contro le monarchie là al potere, al punto che la Regina Vittoria, che con molte di quelle case regnanti europee era imparentata, così scrisse nel suo diario a proposito di Palmerston “We had, God knows! terrible trouble with him about Foreign Affairs. Still, as Prime Minister he managed affairs at home well, and behaved to me well. But I never liked him” (Ci ha fatto passare, lo sa Iddio, momenti terribili sulle questioni di politica estera. Nondimeno come Primo Ministro sulle questioni interne ha operato bene. Ma a me non è mai piaciuto) .
Un paese su cui però le opinioni di Palmerston e della Regina Vittoria convergevano, nonostante la consanguineità fra Queen Vittoria e la famiglia degli zar, era la Russia e le preoccupazioni che generava a Londra la politica asiatica di Pietroburgo. Nel 1836 apparve in Inghilterra un libro scritto da John McNeill (ma pubblicato anonimo su richiesta dello stesso Lord Palmerston) dal titolo The progress and present position of Russia in the East, in cui si illustrava l’ampiezza dell’espansione zarista nel secolo e mezzo precedente, nel corso del quale le frontiere russe erano progredite di ottocento kilometri a Sud verso Costantinopoli e di milleseicento ad Est verso Teheran. Nei decenni successivi a quella pubblicazione la Russia avrebbe esteso il suo dominio territoriale o comunque avrebbe ricompreso nella sua sfera di influenza, la regione costiera del Pacifico settentrionale, i kanati asiatici, il Nord della Persia e il resto del Caucaso che si rivelerà poi essere una delle maggiori regioni petrolifere mondiali, facendo recentemente scrivere a Sergio Romano che “…il grande impero zarista scivolava verso i mari caldi inghiottendo ogni giorno mediamente 150 kilometri quadrati”.
L’autore del libro apparso nel 1836, John McNeill, era in realtà uno dei protagonisti del cosiddetto “Grande Gioco” la guerra di spie, di diplomazie e di eserciti che vide impegnati per circa un secolo, ossia dalla sconfitta delle armate napoleoniche fin quasi alla caduta del regime zarista, inglesi e russi in un confronto per il controllo dell’Asia Centrale e delle frontiere con l’India. Nel 1907 un trattato pose fine alle rivendicazioni reciproche anglo-russe alla luce della minaccia posta da altri paesi che avevano cominciato a protendere le loro mani su una zona del globo che racchiudeva enormi ricchezze naturali (cfr Peter Hopkirk “Il Grande Gioco” ed. Gli Adelphi 2011, titolo originale “The Great Game-On secret service in High Asia”) ma lo scenario attuale, che pure ha visto in parte mutare i suoi attori con la dissoluzione nel Caucaso dell’ex impero sovietico e la nascita di numerosi stati indipendenti, come pure con la vicenda iraniana, quella afgana, quella irakena e quella turco/curda, può essere oggi meglio compreso e interpretato anche facendo riferimento alle vicende storiche di quella vasta, politicamente intricatissima e maledettamente ricca area del globo che è il Caucaso e l’Asia centrale in generale.
Se infatti parliamo oggi di aspettative a lungo termine del prezzo del petrolio e finanche di spread finanziari converrà partire di qui per capire cosa stia accadendo e non dimenticare come pesino la vicende storiche e gli esiti delle alleanze diplomatiche sul piano economico. La tesi che vi proponiamo è che la crisi che ha investito l’Italia nel 2010-2011, con il drammatico aumento degli spread sul rifinanziamento del debito pubblico, abbia solo in parte connotati riconducibili alle vicende finanziarie ed economiche internazionali che a far data dal 2007-2008 hanno investito numerosi paesi. Troppo diversi erano e sono i fondamentali dell’economia italiana se confrontati ad esempio con quelli di Spagna Grecia Portogallo e Irlanda, per spiegare un crollo così verticale dell’affidabilità del paese ed un innalzamento così repentino del rischio che in certi momenti ha portato gli spread italiani ad essere addirittura superiori a quelli spagnoli.
Sul giudizio che i mercati hanno dato dell’economia italiana ha pesato sicuramente la credibilità del suo mondo politico ma hanno pesato anche a nostro avviso tre vicende, in almeno due casi riconducibili al petrolio. La prima è stata la perdita subita (per esclusiva colpa tecnica) dall’ENI di buona parte dei diritti di estrazione nel Caucaso e in particolare in Kazakistan. La seconda il rovesciamento del regime filo-italiano di Tunisi e la terza la guerra civile in Libia che pur lasciando all’apparenza all’ENI una presenza continuativa nella coltivazione di alcuni campi petroliferi ha però pregiudicato in prospettiva al sistema economico italiano nel suo complesso la possibilità di esercitare una influenza economica egemone come in passato (30% dell’interscambio libico era con l’Italia) su quel paese. E questi avvenimenti per chi come l’Italia vede ogni anno il proprio deficit commerciale della bilancia dei pagamenti con l’estero “divorare” il 3% del Prodotto Interno Lordo, è una bella jattura. Nel numero di Febbraio 2011 di Lettera ANESTI (www.anesti.it > Lettera ANESTI) così scrivevamo a proposito delle vicende italiane nel Caucaso e del colossale giacimento di Kashagan di cui ENI era originariamente operatore (ossia preposto alle operazioni tecniche di sfruttamento del giacimento in cambio di una posizione leader e di maggioranza nell’appropriazione del greggio estratto):
“….nel Mar Caspio: in Kazakistan. Anche qui a fronte di sfide tecnologiche importanti si è sottovalutata l’entità dei problemi, la cui soluzione è stata delegata spesso ad enti esterni, non in grado di assolvere compiutamente al loro compito, come se le vicende fisico-geologiche-metereologiche caratteristiche dell’area in cui era presente quel particolare importante giacimento (3 miliardi di barili di riserve stimate) fossero cosa diversa dal corpo e dalla responsabilità delle compagnie madri che avevano figliato il Consorzio di sfruttamento. I brani che riportiamo qui di seguito narrano a ritroso nel tempo del (presunto, sino a prova contraria) succedersi di errori per eccesso di “alterità” che hanno causato un notevole ritardo temporale nella messa in produzione del giacimento e hanno creato danni all’ecosistema del Mar Caspio stimati originariamente in 40 miliardi di dollari (cfr “Legal battles continue between Kazakhstan and major oil companies” By Georgiy Voloshin 02/02/2011 issue of the CACI Analyst http://www.cacianalyst.org/?q=node/5491 : “Another legal battle has been gradually unfolding for a number of years around the most ambitious Kashagan project, which was entrusted to an ENI-led consortium. Interestingly, the production sharing agreement was signed back in 1997, when the Kazakh President was visiting Washington, but the idea was subsequently put on the backburner due to a lack of funds and a need for heavy investments. Kazakhstan expected to see the production starting in 2007. At that time, the first major crisis in Kazakhstan’s relationship with ENI erupted, when the company was unable to stick to its obligations by declaring that the start of drilling operations had to be postponed until 2013 (the initial deadline was due three years earlier). Moreover, the projected cost went up at a surprisingly rapid pace, from US$ 57 billion to US$ 136 billion. The Kazakh Government was even contemplating the possibility of stripping the Agip KCO (a joint venture set up by ENI) of its operator’s status. However, the new production sharing agreement concluded in January 2008 extended the deadline in accordance with the consortium’s wishes, in exchange for an increase in the share of Kazakhstan’s national oil company, KazMunaiGaz. The latter more than doubled its participation in both investment and distribution of profits, bringing it up from 8 percent to 16.81 percent”)….
La situazione descritta era stata preceduta nel 2008 da un accordo compensativo dei ritardi che passava, come accennato nell’articolo del CACI sopra riportato, per il raddoppio della quota di proprietà della compagnia petrolifera kazaka nel giacimento di Kashagan a danno delle compagnie occidentali coinvolte nel progetto e in una forte penale a carico di queste ultime, stimata fra 2,5 e 4,5 miliardi di dollari, per il ritardo maturato nella messa in coltivazione del giacimento stesso (dal 2010 al 2013) (cfr http://www.cacianalyst.org/?q=node/4783 …”23 January 2008 News Digest By Alima Bissenova (01/25/2008 issue of the CACI Analyst) Kazakhstan,AGIP reach agreement on Kashagan
“Kazakhstan’s KazMunaiGaz reached agreement late on January 13 with the Italian-led Agip international consortium formed to exploit the vast Kashagan oil field. Under that agreement, the various Western consortium members will cede some of their shares in the consortium to double KazMunaiGaz’s stake to 16.81 percent. They will also pay between $2.5 billion-$4.5 billion in compensation for the delay in the start of operations, initially scheduled for 2008, until late 2010”……Inoltre, come già accennato, la penale per ritardi non esauriva il contenzioso con il governo e le autorità kazake che riguardava –come spiega un’altra corrispondenza CACI, questa del 2007- anche i danni causati all’ambiente da fuoruscite accidentali di gas ad alta pressione e alto contenuto di idrogeno solforato dal giacimento, che avrebbero (secondo fonti della capitale kazaka Astana) trasformato parte del Mar Caspio in una specie di vasca di acido muriatico.…………“Astana struggles to regain grip on oil sector” By Farkhad Sharip (09/20/2007 issue of the CACI Analyst) http://www.cacianalyst.org/?q=node/4699 “The Italian company was repeatedly inspected by authorities on suspicion of tax evasion. Kazakh finance minister Daulet Yergozhin announced that the final results of inspections will be made public in October, but the estimated environmental damage caused by ENI in Kazakhstan stands at $40 billion. Apparently, the already chilly relations between Kazakh authorities and the Italian company were further aggravated after ENI responded negatively to Kazakh demands to increase the planned output of profit-oil from 10% to 40%. The cause of production delays at Kashagan cannot be explained by harsh climatic conditions or technical problems alone. It seems that Agip was taken hostage by its own ambitious plans to increase oil production from the initially projected 100,000 barrels a day the end of 2005 to 450,000 barrels a day. This revised plan proved to be beyond the capacities of the company, and accelerated the collision with the government”.
Nonostante l’aspettativa (ottimistica) di una flessione dei prezzi del petrolio nel brevissimo futuro le prospettive di crescita economica saranno sempre più influenzate negli anni a venire dalla disponibilità delle fonti energetiche e dall’ammontare di risorse necessarie per sostituire i giacimenti che vanno verso l’esaurimento. La corsa al petrolio continua con più vigore di prima e con conflitti al momento sotterranei anche fra alleati o fra paesi facenti parte della Unione Europea come insegnano il caso libico e quello nigeriano. Uno studio del 2009 dello UK Energy Research Centre che ne riecheggiava uno analogo precedente della International Energy Agency, suonava l’allarme sulla sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi in ragione dell’esaurimento delle riserve provate che è cosa diversa dai picchi di produzione ancora possibili attualmente per soddisfare nel contingente momenti di forte domanda del mercato (“Global Oil Depletion An assessment of the evidence for a near-term peak in global oil production”: Despite much popular attention, the growing debate on ‘peak oil’ has had relatively little influence on energy and climate policy. Most governments exhibit little concern about oil depletion, several oil companies have been publicly dismissive and the majority of energy analysts remain sceptical. But beginning in 2003, a combination of strong demand growth, rising prices, declining production in key regions and ominous warnings from market analysts has increased concerns about oil security. While the global economic recession has brought oil prices down from their record high of July 2008, the International Energy Agency (IEA) is warning of a near-term ‘supply crunch’ owing to the cancellation and delay of many upstream investment projects. There is a growing consensus that the age of cheap oil is coming to an end…..While the timing of a future peak (or plateau) in conventional oil production has been a focus of debate, what appears equally important is the rate at which production may be expected to decline following the peak and hence the rate at which demand reduction and alternative sources of supply may be required. In addition, there are uncertainties over the extent to which the market may be relied upon to signal oil depletion in a sufficiently timely fashion http://ukerc.rl.ac.uk/UCAT/cgi-bin/ucat_query.pl . Uno studio pubblicato proprio in questi giorni dal Fondo Monetario riprende e conferma questo scenario ipotizzando un raddoppio dei prezzi del petrolio nel corso del prossimo decennio. Ma ciò che colpisce di più dello studio del Fondo è l’affermazione che il tasso di crescita dello sviluppo tecnologico non sia una variabile indipendente dalla disponibilità di fonti fossili di energia, il che sta a dire: attenti se si contrae l’offerta di idrocarburi è tutto il mondo tecnologico dal quale dipendiamo che subirà una frenata (cfr IMF May 2012 wp 109 “Our empirical results also indicate that, if the model’s predictions continue to be as accurate as they have been over the last decade, the future will not be easy. While our model is not as pessimistic as the pure geological view, which typically holds that binding resource constraints will lead world oil production onto an inexorable downward trend in the very near future, our prediction of small further increases in world oil production comes at the expense of a near doubling, permanently, of real oil prices over the coming decade. This is uncharted territory for the world economy, which has never experienced such prices for more than a few months. Our current model of the effect of such prices on GDP is based on historical data, and indicates perceptible but small and transitory output effects. But we suspect that there must be a pain barrier, a level of oil prices above which the effects on GDP becomes nonlinear, convex. We also suspect that the assumption that technology is independent of the availability of fossil fuels may be inappropriate, so that a lack of availability of oil may have aspects of a negative technology shock. In that case the macroeconomic effects of binding resource constraints could be much larger, more persistent, and they would extend well beyond the oil sector http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2012/wp12109.pdf. Dovremmo riflettere molto su questo punto.