FINANZA. Indice IFIIT di Aprile elaborato da Paolo Gila, giornalista Rai e socio onorario Assoconsulenza

IQR – IFIIT QUARTERLY REPORT 2 / 2012
IFIIT – INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA
– La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica –

IL SECONDO REPORT DEL 2012 – ANALISI DEL PRIMO TRIMESTRE 2012
Pubblicazione 10 aprile 2012

Numeri di sintesi Indice Ifiit
33,60 – MARZO 2012
33,80 – FEBBRAIO 2012
32,70 – GENNAIO 2012

“L’impresa è per eccellenza il luogo dell’innovazione e dello sviluppo”
– Joseph A. Schumpeter –

Raccomandazioni metodologiche

Dal mese di gennaio del 2012 l’Indice Ifiit continuerà ad essere prodotto mensilmente e il numero di sintesi finale di ogni mese sarà inviato a coloro che ne faranno richiesta scritta inviando una mail all’indirizzo di posta elettronica segreteria.ifiit@libero.it. Dal punto di vista informativo saranno invece pubblicati quattro report trimestrali (IQR Ifiit Quarterly Report), con questa cadenza e con questi riferimenti temporali:

10 gennaio 2012 – Primo Report IQR 2012 – Rilevazioni del Quarto Trimestre 2011
10 aprile 2012 – Secondo Report IQR 2012 – Rilevazioni del Primo Trimestre 2012
10 luglio 2012 – Terzo Report IQR 2012 – Rilevazioni del Secondo Trimestre 2012
10 ottobre 2012 – Quarto Report IQR 2012 – Rilevazioni del Terzo Trimestre 2012

In questo modo – grazie alla cadenza trimestrale degli approfondimenti – sarà possibile analizzare e descrivere maggiormente le tendenze in atto, utili per elaborare scenari previsionali di sviluppo, secondo l’intento principale di Ifiit.

I Temi dominanti di IQR 2/2012

  • Nel corso del Primo Trimestre del 2012 l’Indice Ifiit manifesta un certo appiattimento sui valori minimi, dopo il crollo registrato nel mese di dicembre 2011 (a 32,70 punti), a testimonianza delle difficoltà che sta vivendo la nostra economia in generale.
  • La sensibile contrazione della fiducia negli investimenti in innovazione tecnologica è legata a diversi fattori di fondo tra cui: 1) l’avviamento di un processo di deindustrializzazione che sembra coinvolgere diverse aree del Paese; 2) drastica riduzione delle politiche di investimento da parte delle PMI a causa delle difficoltà a reperire credito sul circuito bancario; 3) difficoltà a cogliere segnali di ripresa sul mercato interno.
  • Come nel precedente report trimestrale, si conferma che restano posizionati su alti livelli di attenzione verso la ricerca e l’innovazione solo i grandi gruppi industriali, alcuni distretti e filiere produttive fortemente orientate all’esportazione o che hanno internazionalizzato l’attività nel corso degli anni.
  • Il sistema delle piccole e delle micro imprese appare alquanto frastornato, sia per l’eccessiva difficoltà con cui riesce ad ottenere credito (solo una su cinque), sia per le oggettive scontrosità del mercato interno verso il quale sono tipicamente rivolte.
  • Si conferma invariato il digital divide del sistema Paese, che fatica a identificare una politica di sviluppo legata all’accrescimento e alla diffusione delle tecnologie a banda larga per uso pubblico e privato.
  • Per quanto riguarda le aree geografiche si registra il calo della propensione ad investire soprattutto nel Triveneto e nel Nord-Ovest. In crescita la Lombardia, su buone posizioni l’Emilia-Romagna. La Toscana e il Lazio. La dorsale produttiva del Paese si conferma l’asse Milano-Bologna-Firenze-Roma (che, guarda caso, è quello dell’alta velocità).
  • Tra i comparti produttivi si collocano in alto alla graduatoria della propensione agli investimenti in innovazione il settore elettromedicale, quello dell’energia e della sicurezza, della meccatronica e delle biotecnologie, dei trasporti e delle comunicazioni.
  • Manifestano una relativa stabilità il settore bancario-assicurativo, il farmaceutico e il mondo dei servizi.
  • Ancora segnali di rafforzamento per l’economia digitale. In crescita l’utilizzo del web, anche sotto l’aspetto della produzione televisiva.

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Una paccata di segnali critici

Nel corso dell’ultimo trimestre del 2011, con il suo forte calo dalla linea dei 37-38 punti a quella dei 32-33 punti, l’Indice Ifiit aveva manifestato in anticipo l’umore degli imprenditori. Il sensibile calo della propensione ad investire in innovazione tecnologica – più largamente diffuso tra le piccole e le micro imprese – ha generato un clima di sfiducia nel quale hanno trovato albergo anche le contrazioni delle attività legate all’edilizia, al commercio e a buona parte dei servizi. Nel primo trimestre del nuovo anno, sostanzialmente il quadro strutturale di fondo non cambia: nel mese di marzo l’Istat ha comunicato i dati della produzione industriale nel mese di gennaio. Il calo è del 2,5% rispetto al livello di dicembre e del 5% se calcolata a livello annuo. Dunque l’attività produttiva del Paese si è contratta. La cilindrata della macchina economica si è ridotta (come del resto Ifiit aveva previsto, vedi report trimestrale IQR 1/12 pubblicato il 10 gennaio 2012). A ben guardare la tendenza in atto è confermata anche da altri indicatori: nel mese di febbraio gli ordinativi all’industria sono ancora calati (del 4,4% secondo l’Istat). Intanto sul fronte del debito pubblico, il Bollettino della Banca d’Italia comunica che nel mese di gennaio il nostro fardello è salito di circa 38 miliardi di euro, alla quota record di 1935 miliardi di euro. In questo quadro, se le tendenze in atto saranno confermate, il rapporto debito/Pil – che secondo il parametro di Maastricht dovrebbe attestarsi sul 60% e che secondo il tratto del Fiscal Compact siglato da 27 paesi dell’unione lo scorso 27 gennaio dovrebbe scendere per l’Italia di 2 punti percentuali all’anno per attestarsi all’80% entro vent’anni – è probabile che alla fine del 2012 si possa attestare sul 124-125%, proprio a causa della contrazione del Pil (tra l’1 e il 2% secondo i principali centri di ricerca) e dell’aumento del debito pubblico. In questo reticolo di dati è difficile sostenere che la riforma del lavoro con la cancellazione e la riscrittura dell’articolo 18 possa generare una tendenza virtuosa di rilancio e di consolidamento della ripresa perché – condividendo l’opinione e gli studi di diversi esperti internazionali – il nostro non è un problema di contabilità e di valori, ma soprattutto di VISIONE DEL FUTURO. La presunzione contabile, la logica dei conti – in una parola: la nuova religione laica del budgetismo – ha preso il sopravvento sulla capacità di creare sviluppo. Il governo Monti ha dato e continua a dare una serie di rigorose prove di forza, salvo poi essere ridimensionate o in gran parte smentite (vedi liberalizzazione dei taxi, dei notai e delle professioni, solo per fare alcuni esempi) ma nulla dice su QUALE ITALIA STIAMO COSTRUENDO. Vogliamo puntare sulla ricerca? Vogliamo rilanciare le piccole e le medie imprese? Su quali mercati possiamo puntare per generare occupazione? E’ più importante investire nella scuola e nella formazione per dare un futuro ai giovani o nella sanità per garantire una dignità agli anziani? Insomma, qual è l’Italia che pensiamo di costruire e di avere tra vent’anni? I tanto criticati francesi hanno compiuto questa reimpostazione strategica del loro ruolo sulla faccia della terra a cavallo degli anni ’80 e ’90, quando decisero di puntare su: 1) infrastrutture e trasporti, 2) energia, 3) telecomunicazioni, 4) industria avionica e 5) attività bancaria e assicurativa. Almeno 4 dei 5 punti sono stati pienamente raggiunti e oggi la Francia gioca un preciso ruolo sul proscenio internazionale. Gli investimenti sono stati indirizzati e incanalati verso progetti e programmi di sviluppo e tutta la politica economica dei governi – pur tra i vari cambi di scena – hanno rispettato l’impostazione di base. Nel nostro Paese abbiamo visto il passaggio di decreti: SalvaItalia, CresciItalia e via discorrendo. Ma quanti sono e saranno i decreti che il governo dovrà fare? Qualcuno sa dirci che ITALIA STIAMO COSTRUENDO? Queste sono le domande e le questioni che agitano le riflessioni degli imprenditori i quali, in questo clima di grande rigore sposato ad altrettanta incertezza, riducono la loro propensione ad investire, se non, drasticamente, la tagliano. Alcuni meditano se sia meglio chiudere l’attività o se sia più opportuno portarla all’estero. Di fronte al clima di crescente tassazione (IMU sulla casa e sui fabbricati, ma anche Iva sulle merci) il quadro recessivo si rinforza. Il tutto mentre il debito sale e i principali indicatori non mostrano certo bel tempo. E proprio in questo clima l’Indice Ifiit manifesta la sua sostanziale stabilità sui livelli minimi già toccati nel precedente trimestre (IV 2011): 32,70 a gennaio, 33,80 a febbraio e 33,60 a marzo. Più o meno sugli stessi livelli della chiusura dell’anno 2011.

La spina dorsale d’Italia

La Regione dove la propensione ad investire in innovazione tecnologica resta a livelli elevati è la Lombardia, seguita da un grappolo di regioni come l’Emilia Romagna, la Toscana e il Lazio. Da segnalare il sensibile calo della fiducia negli investimenti nel Nord-Ovest, soprattutto in Piemonte, ma anche nel Nord-Est. Invariato e debole si presenta il Meridione d’Italia, pur in presenza di alcune realtà controcorrente, in Campania, Sicilia e Puglia. A ben guardare, il senso dell’innovazione tecnologica si presenta molto elevato sulla dorsale dell’Alta Velocità che collega Milano a Napoli e questo, dal punto di vista sociologico, non è forse un caso. Entrando nel dettaglio, in Lombardia i settori che manifestano un certo risveglio degli investimenti sono la Chimica-Farmaceutica e la Meccanica, dunque due settori tradizionali. In Emilia Romagna e in Toscano danno segni di vivacità i comparti agro-alimentari, le materie plastiche e il packaging (distretto di Bologna) oltre alla meccanica fine. Stupisce il tracollo della fiducia nell’area del Triveneto, dove sono contagiati quasi tutti i settori (soprattutto tessile-moda, legno e mobile). Secondo i dati raccolti presso alcuni centri studi, nel Triveneto sono state 980 le aziende che nel 2011 hanno chiuso i battenti per riaprire in altri Paesi, tra cui la Slovenia, la Croazia, l’Austria, la Romania, mentre dalla Lombardia sono uscite 250 imprese per andare a riallocarsi in Svizzera. Sarà importante che nei prossimi mesi venga valutata se la ridotta propensione ad investire è frutto di una scelta congiunturale o se è invece l’avvio di un processo di deindustrializzazione e/o di delocalizzazione verso aree produttive diverse.

Focus
Il mercato dell’ICT secondo Assinform

Il mercato dell’Information  Technology nel corso del 2011 è calato del 4,1% e si prevede che nel 2012 possa subire un’ulteriore contrazione del 2,3%. Alla luce di questi dati si approfondisce il ritardo con il resto del mondo, dove l’IT è cresciuta al ritmo del +2,4%  nel 2011. Ma fra tante criticità e ostacoli l’economia digitale comincia a penetrare anche in Italia. Lo ha registrato il nuovo Rapporto Assinform che propone il superamento della visione tradizionale del mercato Ict con la classificazione di “Global Digital Market”, in cui crescono e-reader +719%, smart tv +92%, tablet +125%, cloud +34,6%, It per web +9,9%, Internet delle cose +11,9%, contenuti digitali e pubblicità on line + 7,1%, accessi a banda larga +1,1%.

“Dopo le pesanti performance negative del 2009 e del 2010 – ha precisato Paolo Angelucci presidente di Assinform – anche nel 2011 crisi e manovre restrittive hanno falcidiato il settore italiano dell’Ict oltre le nostre più caute previsioni, calato complessivamente del 3,6% rispetto all’anno precedente, con la più forte contrazione, pari a -4,1%, registrata dall’Information Technology. Oltre alla restrizione della spesa pubblica in Ict che perdura da anni, sono state le imprese, che sostengono più del 90% della domanda d’informatica, a dover rivedere in modo consistente gli investimenti in innovazione It, operando tagli dell’ordine mediamente del 4,3%. Per il 2012 le nostre previsioni indicano un settore Ict ancora in sofferenza, se pur in recupero con un trend intorno al -2,2%, che declinato per l’It  dovrebbe segnare  -2,3% e per le Tlc attestarsi a -2,1%. Siamo tuttavia consapevoli che queste stime potrebbero essere rapidamente riviste al rialzo, qualora il Paese riuscisse a cogliere a pieno l’opportunità di attuare l’agenda digitale come agenda per la crescita, dotandosi di un piano operativo che detti regole e tempi certi per realizzare lo switch off digitale della Pa  e valorizzare, anche con adeguate politiche fiscali, quei segmenti emergenti di economia collegati all’uso del web e alla diffusione dei servizi e dei contenuti digitali, che già oggi in Italia stanno creando nuovi modelli di business, start up innovative, nuove occasioni di lavoro”.

Come dimostrano i dati di confronto internazionale,  peggio dell’Italia ha fatto solo la Spagna con un mercato It sceso di -5,3% a fronte di una media Ue di +0,5%, con la Francia attestata a + 0,3%, la Germania a +2,3% e l’Uk a -0,7%.  “Riteniamo – ha continuato Angelucci – che questo scenario, frutto di una lettura tradizionale dell’Ict, oggi rappresenti una parte, anche se ancora largamente maggioritaria, della realtà digitale. Da questa lettura, infatti, rimangono fuori i cambiamenti che sta generando nel settore la convergenza sempre più stretta fra It e Tlc : l’economia digitale, basata sulla leggerezza dei budget e delle tecnologie propri del web e del cloud.

La nuova classificazione del mercato Ict come Global Digital Market porta ad una valutazione del mercato di quasi 70 miliardi di euro (circa 11 miliardi di euro in più rispetto al perimetro tradizionale), e attenua la tendenza verso il basso con un trend di -2,2% nel 2011/10. Ciò grazie al segmento del “software e soluzioni Ict” che cresce al ritmo annuo di + 1,2% (+0,9% nel 2010/09) fatturando oltre 5 mld  e a quello dei i contenuti digitali e pubblicità on line che, con un volume d’affari di quasi 7 miliardi di euro,  è in salita del +7,1% (+10,1%). Continua, tuttavia, il calo dei “Servizi Ict” che valgono poco più di 40 miliardi di euro e nel 2011 sono scesi di -3,8%  (-3,3% 2010/09), così come dei “dispositivi e sistemi digitali”, segmento  che vale oltre 17 mld di euro, con un trend in discesa di -2,6% (-2,1% 2010/09). Entrando in dettaglio emerge lo spostamento della domanda verso le tecnologie che valorizzano il web e contenuti: a fronte del calo di Pc, laptop e cellulari, si registra, infatti, una crescita del 92% delle smart tv, del 125% dei tablet (che corrisponde a una crescita del 100% delle unità , passando dalle 428.570 unità vendute nel 2010 alle 858.000 unità del 2011), fino al boom degli e-reader il cui mercato è aumentato quasi del 719%, raggiungendo un valore di 131 milioni di euro. Così il software applicativo, che cresce complessivamente di +1,7% grazie alla spinta del +9,9% dovuta alle piattaforme di gestione web e al +11,9% dell’Internet delle cose, mentre le soluzioni verticali e orizzontali calano di -1,6%. Così la domanda di servizi Ict che, se decresce complessivamente, registra l’aumento di + 34,6% del cloud computing per un valore di 175 milioni di euro.