NEWS. New Media, Cybercrime e Web Economy

Pubblicità in calo sui media tradizionali, ma cresce sui new media: tra tablet, smartphone e social network,
il 2011 in Italia ha fatto segnare un +7%, con un aumento di quasi 500 milioni di euro Non è più una novità: succede ormai da qualche anno, purtroppo per chi nei media ci lavora o ci ha scommesso, che quando escono i report trimestrali degli investimenti pubblicitari su giornali, radio e tv son sempre dolori. Fioccano ormai sistematicamente i segni “meno”, e gli editori si trovano a fare i conti con numeri che faticano a far quadrare i bilanci. Ma c’è un altro modo di leggere queste tabelle di dati: per farsi tornare il sorriso. O almeno per comprendere che c’è un orizzonte di sviluppo possibile, basterebbe considerare quella che fino ad oggi è stata l’altra faccia della medaglia. Ma che presto, vista la rapidità con cui il settore si evolve, potrebbe diventare la prima. E cioè, mentre i media tradizionali hanno perso in un anno il 5% del fatturato pubblicitario (complessivamente, secondo i dati Nielsen Media Research, intorno ai 450 milioni di euro in meno investiti), i fatturati di “forme pubblicitarie” che sono circolate sull’intera e arrembante gamma dei new media, comprendendo in questo termine piuttosto ampio smartphone , tablet , connected tv , applicazioni , social network e video online , sono cresciuti in Italia del 7%, con un aumento di quasi 500 milioni di euro). Grazie alla crescita che si conferma essere progressiva negli anni, il 2011 si è chiuso con un fatturato complessivo dei media tradizionali pari a 11,4 miliardi di euro, non lontano dal giro d’affari dei new media a quota 5,3 miliardi . Una marcia di avvicinamento rapida. Questi dati sono stati presentati nel convegno dell’ Osservatorio New Media & New Internet della School of Management del Politecnico di Milano . In particolare, di questi 5,3 miliardi di euro totali, sono in aumento i ricavi generati da contenuti acceduti da Pc (+15%) e da tablet. Al febbraio 2012 erano 261 le applicazioni media disponibili per tablet, tra cui dominano quelle della carta stampata (il 49% fa riferimento a periodici e il 32% a quotidiani), mentre il 12% deriva da editori televisivi e il 7% dal mondo della radio. In crescita anche i ricavi legati ai dispositivi smartphone (+5%). Se il mondo tradizionale (servizi informativi e di intrattenimento erogati via sms e mms, musica e video in streaming, ecc.) cala del 3% circa, crescono infatti di oltre il 70% i ricavi pubblicitari e di vendita legati alle App. Confermano il trend positivo dei new media anche i ricavi pubblicitari associati alla visualizzazione di video, cresciuti dell’80% nel 2011, e ai social network (+130%). Interessante anche l’ analisi degli investitori , ovvero delle tipologie di aziende che più stanno scommettendo su questa nuova frontiera della comunicazione. Il settore dell’ automotive è quello che investe di più, seguito da quello finanziario e assicurativo e da quello editoriale e dei media . A crescere del 200% a livello di investimenti è però la GDO (grande distribuzione), seguita dal mercato retail (oltre il 100%). Oltre ai numeri, che fotografano una tendenza significativa, la ricerca ha messo in luce un aspetto ancora più importante, e su cui tutti, editori ma soprattutto investitori, mondo economico e alla fin fine anche i semplici utenti, devono cominciare a riflettere: il proliferare di nuovi dispositivi (prima di tutto i tablet, con l’iPad a fare da apripista, e tutto il mondo Android a seguire) e di nuove modalità di interazione e distribuzione di contenuti (come i social network e le app) ha innescato delle dinamiche che stanno cambiando profondamente il concetto stesso di Internet. “ Le occasioni di utilizzo della rete si moltiplicano e iniziano a divenire pratica comune anche per quelle fasce della popolazione storicamente meno inclini all’utilizzo del Pc”, sottolinea la ricerca, mostrando come la linea di confine tra nativi digitali e “generazioni pre-internet” stia diventando sempre più sfumata. “Il nuovo concetto di Internet che si sta affermando potrebbe portare al comparto italiano dei media digitali quelle soddisfazioni che solo in piccola parte sono state generate dal suo predecessore, l’Internet delle origini», ha commentato Andrea Rangone, Responsabile degli Osservatori ICT del Politecnico di Milano. «Sarà con questo nuovo volto che l’Italia potrà finalmente entrare a testa alta nell’economia digitale”.

Cybercrime, secondo reato più diffuso nel mondo finanziario
Rappresenta il 38% di tutti i crimini economici secondo un’indagine di PricewaterhouseCoopers
Il cybercrime è una minaccia crescente per le aziende che si occupano di servizi finanziari e rappresenta oggi il secondo tipo di crimine economico più diffuso nell’industria, dietro solo all’appropriazione indebita di asset. E’ quanto emerge da un’indagine di PricewaterhouseCoopers condotta su un campione rappresentativo di 878 rappresentanti di istituti finanziari di 56 Paesi.
Nel 2011 i cyberattacchi hanno raggiunto una quota del 38% di tutti i crimini economici ai danni del mondo finanziario. La metà del campione pensa che la minaccia legata al cybercrime sia cresciuta nell’ultimo anno, con il 63% che considera il dipartimento IT come quello più a rischio di attacchi.
I problemi maggiori derivanti dal cybercrime sono il danno d’immagine (54%), la perdita di dati sensibili (49%), le perdite finanziarie (39%) e noie regolamentari (32%).
Nonostante questi rischi, il 29% degli intervistati ammette che in azienda non c’è alcun piano di formazione legato alla cybersecurity.

Pubblicato il rapporto di Bcg sull’impatto del web sulle economie nazionali entro il 2016.
L’Italia cresce dell’11% all’anno, ma l’agenda digitale è in ritardo “The $4.2 Trillion Opportunity”, un’opportunità da 4.200 miliardi di dollari, pari a 3.200 miliardi di euro, è il titolo dell’ultimo rapporto pubblicato da The Boston Consulting Group, società internazionale di consulenza ( www.bcgperspectives.com ), che porta nuovi dati a conferma di quella che sembra ormai essere, più che una previsione, una certezza sulle future tendenze della produzione di ricchezza a livello mondiale: la via maestra che può condurre fuori dalla crisi è quella che punta sulla digital economy (il sottotitolo dello studio è infatti chiaro: “How Companies and Countries Can Win in the Digital Economy”). Investire sul digitale ora significa infatti, per le imprese così come per i sistemi paese, cogliere un’opportunità da 3.200 miliardi di euro, perché secondo i calcoli degli analisti del Bcg a tanto ammonterà il valore complessivo dell’economia digitale entro il 2016. Per quanto riguarda i paesi che fanno parte del G20, già oggi la movimentazione economica legata al web costituisce in media il 4,1% del Pil, ma si tratta di un dato in crescita, e soprattutto con forti differenze tra paese e paese: già oggi infatti i cosiddetti “paesi in via di sviluppo” che fanno parte del club del G20 contano oltre 800 milioni di utenti Internet, più di tutti i paesi sviluppati del G-20 messi insieme. Anche in conseguenza del boom di questi numeri, mentre nei mercati sviluppati del G-20 l’economia web crescerà dell’8-10% all’anno, nei mercati in via di sviluppo sfiorerà un tasso di crescita del 18%. L’aumento più forte è quello di Argentina e India: addirittura, rispettivamente, +24% e +23% l’anno. Uno sviluppo che sarà sempre più mobile: lo studio calcola infatti che entro il 2016 quattro connessioni alla rete su cinque saranno effettuate da device mobili, smartphone o tablet. A godere maggiormente di questa crescita saranno le piccole e medie imprese, in particolare quelle che avranno sviluppato per tempo una buona infrastruttura per l’e-commerce: le aziende che avranno aperto questo canale di business cresceranno del 22% in più all’anno rispetto alle Pmi che non sceglieranno la rete come canale di vendita.

Non male, secondo il rapporto, che la premia con una crescita media della web economy tricolore pari all’11% all’anno da qui al 2016, rispetto al 7,8% della Germania e al 5% degli Usa, mercati del resto già più maturi da questo punto di vista. Tradotto in cifre, significa che in Italia l’e-commerce più che raddoppierà il proprio volume d’affari nei prossimi 4 anni, passando da 15 a 38 miliardi di euro, mentre l’advertising online triplicherà, crescendo da 1 a 3 miliardi di euro.

Tanto? L’Italia, in realtà, potrebbe sfruttare in modo ancora più corposo questa opportunità da 3.200 miliardi di euro. Ci ha pensato infatti un altro report, quello sullo sviluppo digitale dell’Italia pubblicato a fine 2011 dal Digital Advisory Group (un gruppo di oltre 30 società ed istituzioni legate a vario titolo all’Ict, www.digitaladvisorygroup.it ), a denunciare gli ostacoli che ancora tarpano le ali nella penisola a una sana e robusta crescita del digitale:

  • scarsa velocità e affidabilità della banda larga (per esempio ogni giorno, in media, più di 200 uffici postali non sono in grado di operare a causa di problemi di connessione);
  • insufficiente comunicazione riguardo i servizi online della Pubblica Amministrazione (il Piano E-Gov 2012 ha ampliato notevolmente l’offerta di servizi, che però vengono usati poco perché spesso la gente non sa che esistono);
  • limiti nel quadro normativo (legislazioni troppo restrittive, interpretazioni troppo differenti fra loro in sede giudiziaria, e in generale un approccio troppo rigido, specie sul diritto d’autore, volto più alla tutela della forma che non del risultato);
  • carenza di competenze digitali (la formazione di “imprenditori digitali” è snobbata da larga parte delle università italiane e quei pochi che vengono formati, ovviamente, scappano all’estero).

Nel 2013 un cellulare su 3 sarà utilizzato per accedere ai servizi finanziari. Lo ha rivelato un’indagine della Fed
Nel 2011 il 20% dei cittadini americani ha usato il cellulare per accedere a servizi finanziari, e un altro 20% pensa di farlo nel prossimo futuro. Lo rende noto un’indagine dalla Federal Reserve condotta su un campione di 2.300 persone, secondo cui il mobile banking sta prendendo sempre più piede negli Usa tanto che nel 2013 un telefonino su tre sarà usato a tale scopo.
I più propensi ad utilizzare il telefonino per servizi finanziari sono i giovani: la fascia di età compresa fra 18 e 29 anni che rappresenta circa il 44% di tutti gli utenti di m-banking, pur rappresentando di fatto appena il 22% di tutti gli utenti di telefonia mobile. Di contro, gli over 60 rappresentano solo il 6% degli utenti di servizi di m-banking, anche se sono il 24% degli utenti di telefonia mobile.
L’indagine mostra poi una maggior adesione all’m-banking nella componente afroamericana (16%) ed ispanica (17%) della popolazione. Un aspetto che sottolinea la diffusione dell’m-banking nelle fasce di popolazione che di norma non si rivolgono abitualmente alla banca per i servizi finanziari.
Le attività più diffuse, pari al 90% del totale, riguardano la consultazione del saldo e delle transazioni più recenti. Pagamenti mobili sono stati effettuati dal 25% del campione. Il 48% di coloro che non effettuano pagamenti mobili dice di non farlo per timori legati alla security, il 58% sostiene di non aver bisogno dello smartphone per pagare.