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DI DIRITTO INTERNAZIONALE
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Istituzione Autorizzata ai sensi dell’International Business Companies Registry Act Republic of Belize member British Commonwealth 31 December 2000
Elaborato
da
LAURENT CLAVAL
Investment Stategy: tutta colpa della guerra commerciale
Tutta questione di politica
Le oscillazioni del mercato e le sorti del ciclo globale dipendono completamente dalle dinamiche politiche. Non è ancora stata fatta chiarezza sugli sviluppi della guerra commerciale. Pertanto l’attenzione ora si concentra sul G20 del 28-29 giugno, che potrebbe però non rivelarci grandi sorprese. Non è detto che assisteremo a un aumento dei dazi, ma è possibile che non si arrivi ancora a un accordo definitivo tra Cina e Stati Uniti.
Probabilmente dovremo assistere, soprattutto quando inizierà seriamente la corsa presidenziale del 2020 negli Stati Uniti, a nuove scaramucce e a una ripresa dei contrasti che avranno ripercussioni sulla fiducia globale. Lo stesso vale per la Brexit. La prolungata estensione concessa al Regno Unito avrebbe dovuto portare pace e tranquillità. Al contrario ha acceso la lotta per la leadership tra i Conservatori, alimentando nuovamente i timori per il no deal.
Le elezioni europee hanno rappresentato, collettivamente, una vittoria per i partiti tradizionali e hanno contenuto l’avanzata populista nonché allontanato la possibilità che l’UE prendesse una strada completamente diversa. Le incertezze però non sono scomparse del tutto. Proseguono le discussioni tra Roma e Bruxelles sulla politica fiscale. L’iniziativa che promuove un budget per l’Eurozona ha portata limitata. I partiti tradizionali hanno vinto, tuttavia non è ancora chiaro cosa si potrà fare per rafforzare l’unione monetaria.
L’approccio accomodante della Federal Reserve: l’economia non c’entra!
L’economia americana mostra qualche segnale di rallentamento. La creazione di posti di lavoro si è attestata a maggio a quota 75.000, ma la media a tre mesi è intorno a 150.000 unità, inferiore agli ultimi anni ma sufficiente ad assorbire l’aumento dell’offerta di manodopera e a stabilizzare la disoccupazione sul minimo record in 50 anni. Gli altri indicatori del mercato del lavoro restano solidi. L’indice ISM manifatturiero si è stabilizzato mentre l’indice Empire State è sceso bruscamente a giugno, probabilmente a seguito del riacutizzarsi delle tensioni commerciali con il Messico. La fiducia dei consumatori e gli indicatori non manifatturieri restano relativamente positivi e i consumi sembrano consolidarsi dopo la debolezza di inizio anno. Complessivamente, continuiamo a prevedere una crescita USA oltre le medie, intorno al 2%, nel secondo trimestre e un’espansione del 2,4% nel 2019.
L’approccio accomodante della Federal Reserve dipende maggiormente dalle controtendenze globali e dal rischio di un’ulteriore contrazione delle condizioni finanziarie dovuta alle questioni commerciali. Nella ricerca precedente2 abbiamo spiegato che i dati economici possono riflettere l’arrivo di una pericolosa recessione solo diversi mesi dopo i segnali sui mercati finanziari. Pertanto non va trascurato il messaggio lanciato dall’inversione della curva dei rendimenti dei Treasury, causa scatenante delle recessioni negli USA più che puro indicatore del mercato. L’andamento dei negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti resta un elemento cruciale. Nel nostro scenario di base non ci aspettiamo né un’escalation delle tensioni (con dazi del 25% su tutte le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti) né la conclusione di un accordo (le controversie commerciali hanno ora contagiato anche il settore tecnologico), quanto una tregua simile a quella offerta al settore automobilistico europeo.
Eppure, con questo approccio attendista relativamente positivo, noi prevediamo un allentamento monetario da parte della Federal Reserve che, molto probabilmente, taglierà i tassi di interesse a settembre e a dicembre per compensare la precedente contrazione delle condizioni finanziarie. Effettivamente, l’impatto della guerra commerciale non riguarda solamente l’esportazione e l’importazione di merci, e i relativi prezzi, né l’erosione del potere di acquisto delle famiglie e dei margini aziendali dovuta all’inflazione. Le conseguenze immediate saranno un calo della fiducia e il rinvio degli investimenti fissi.
La prossima fase della giapponesizzazione dell’Europa
Il flusso di dati macroeconomici in Europa è stato deludente. Gli indici manifatturieri si sono stabilizzati intorno ai minimi in sei anni, spesso trascinati al ribasso dalle componenti orientate al futuro. Gli ordini manifatturieri in Germania hanno realizzato la peggiore performance in 10 anni e indicano che il rimbalzo economico del primo trimestre è stato di breve durata. Effettivamente, il settore dei servizi orientato al mercato locale, la fiducia dei consumatori, la creazione di posti di lavoro e i piani di assunzione restano su livelli robusti, in contrasto con il rallentamento del manifatturiero. C’è qualche segnale di frenata anche per la domanda locale in Europa.
Con l’inflazione core ferma intorno all’1% da oltre due anni, le prospettive macroeconomiche dell’Eurozona e le tendenze globali che preoccupano la Fed allarmano anche la Banca centrale europea (BCE). Nell’incontro di giugno, la BCE ha tentato di convincere il mercato di avere ancora molti strumenti di politica monetaria a disposizione. Con oltre 15 anni di esperienza la Banca del Giappone rappresenta un evidente termine di paragone e ha confermato più volte, anche questa settimana, che è possibile introdurre nuove misure accomodanti, qualora fosse necessario. Inizialmente i mercati si sono dimostrati scettici (tassi di interesse più bassi ma in assenza di un effettivo allentamento si traducono in tassi reali pressoché invariati), ma hanno apprezzato l’impegno dimostrato dal Presidente Draghi a Sintra: i rendimenti dei Bund decennali sono scesi su un nuovo minimo record al di sotto del -0,3%.
Asset allocation: preferenza per il credito rispetto alle azioni
Nel mese è andata meglio agli strumenti più esposti al rischio, grazie alle crescenti aspettative di un approccio più accomodante, confermate da Mario Draghi nel suo intervento a Sintra il 18 giugno. Di conseguenza, le azioni hanno guadagnato e gli spread di credito si sono ristretti, mentre i tassi di interesse sono rimasti su livelli minimi che non si registravano dal 2017 (Treasury al 2,10%) o inferiori (Bund -0,25%). La crescita e l’inflazione contenute spingono le banche centrali a essere (più) accomodanti e ciò dà il via alla caccia al rendimento. Si tratta di un contesto favorevole ai mercati del credito ma meno positivo per le azioni che hanno perso parte del loro potere di attrattiva da fine aprile. Chi ha investito in azioni attenderà i segnali di reflazione degli utili, mentre chi ha investito in credito approfitterà delle condizioni favorevoli per rifinanziarsi o per rimborsare le obbligazioni.
In prospettiva futura, manteniamo la prudenza con le azioni dei mercati sviluppati, dato che i rischi sono aumentati sul fronte dei negoziati commerciali. Le prospettive ci sembrano positive per i prodotti spread a più alto beta che tendono a beneficiare della politica accomodante delle banche centrali. Conserviamo una posizione neutrale nei titoli di Stato dei Paesi core dell’Eurozona poiché il rallentamento della crescita e il calo dell’inflazione dovrebbe mettere un freno ai rendimenti. In breve, puntiamo su una posizione sottopesata in azioni europee e sovrappesata nel debito dei mercati emergenti e nel credito high yield USA.
Dal punto di vista tattico, monitoriamo il rischio di un’improvvisa mini oscillazione dei tassi, che potrebbero salire a fronte di un contemporaneo sell-off degli strumenti più esposti al rischio. Ciò potrebbe accadere a seguito di una distensione dei rapporti tra i Presidenti di Cina e Stati Uniti al summit del G20, che potrebbe spingere i mercati a rivalutare la loro previsione di un taglio dei tassi da parte della banca centrale americana.
Laurent ClavelHead of AXA IM Research,
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